La via italiana alla green economy

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Green economy, il made in Italy c’è. E non è fatto solo di Fiat, con i suoi motori a basso impatto ambientale, che hapermesso al gruppo torinese di prendersi in carico la Chrysler, ricca di modelli senza limiti ai consumi. O della Landi Renzo, l’azienda di Reggio Emilia, leader mondiale degli impianti per i motori a metano e Gpl. La green economy in salsa italiana non è solo la produzione di energia da fonti rinnovabili o il recupero e riciclaggio di carta o plastica.

La green economy modello italiano è un filo conduttore che lega tutto il made in Italy, attraversa i territori, come i prodotti agroalimentari a “km zero”, tocca i settori industriali di punta. È strettamente legata al concetto di qualità. Di alta qualità.

Green economy, in sintesi, uguale stile italiano. E con risultati importanti: produzione ed export di green economy hanno senz’altro retto meglio alla grande crisi, visto che generalmente i consumatori di queste nicchie di mercato hanno disponibilità economiche maggiori e una propensione alla spesa meno legata alla congiuntura.

L’industria italiana della green economy c’è, e mondo della politica e mondo delle imprese s’interrogano (martedì prossimo a Roma, nel corso del convegno «Green Italia» organizzato da Symbola e Fondazione Farefuturo, con conclusioni di Ermete Realacci e Gianfranco Fini, presidente della Camera e di Farefuturo) su come tutelare e implementare un modello ricco di esempi virtuosi che fanno scuola, ma che stentano a fare sistema. Un mercato verde che secondo le stime di Symbola-Farefuturo realizza un fatturato di 10 miliardi l’anno, con 300mila addetti.

Il Sole 24 Ore

Le due fondazioni pensano a regole condivise dai produttori, standard di qualità, tecnologie pulite, difesa dei consumatori, con l’obiettivo di non far degenerare (e banalizzare) il tutto in appesantimenti formali e burocratici che potrebbero fermare la green economy.

Adolfo Urso, viceministro allo Sviluppo economico e segretario generale della Fondazione Farefuturo, spiega: «L’Italia ha le risorse imprenditoriali e qualitative per vincere le sfide ambientali. Dobbiamo fare in modo che la difesa ambientale diventi un’opportunità per le imprese e non una penalizzazione».

Ermete Realacci, presidente di Symbola, aggiunge: «Dobbiamo porre le basi per far entrare la politica in sintonia con quelle imprese che sono legate al territorio, puntano sulla qualità e sullo sviluppo ecosostenibile. C’è difficoltà a leggere bene queste qualità e poi, spesso, non si spinge nella giusta direzione. Dobbiamo far capire che lo sviluppo di alcuni settori innovativi e la riconversione in chiave ecosostenibile di comparti tradizionali rappresentano la frontiera avanzata del made in Italy».

Ma come si fa a sostenere l’italian green economy? «Dobbiamo proporre misure concrete – risponde Urso – in sede internazionale, in sede europea e in Italia per fare emergere queste qualità e, al tempo stesso, contrastare le importazioni di prodotti che sono realizzati in palese mancanza di regole ambientali simili alle nostre. Si tratta di una concorrenza sleale che non possiamo più tollerare». Il segretario di Farefuturo ha in mente proposte precise: dazi ambientali per chi non rispetta le regole Ue.

Con tre obiettivi precisi:
bloccare sul nascere questa forma di concorrenza sleale; scoraggiare le tentazioni di chi vuole delocalizzare per sfuggire ai vincoli ambientali; utilizzare i fondi recuperati con i dazi ambientali per favorire le esportazioni di tecnologie ambientalmente pulite nei paesi in via di sviluppo, contribuendo in modo concreto alla salvaguardia dell’ambiente globale. «In sintesi: vogliamo creare le condizioni per trasformare l’economia dell’ambiente in una grande opportunità per tutti».

Secondo Realacci è indispensabile alzare l’asticella su tutti i fronti: «Dobbiamo stabilire elevati standard di qualità, di sicurezza dei consumatori e di vincoli ambientali. È così che si batte la concorrenza di basso livello. La qualità sarà sempre più vincente rispetto a chi gioca la carta del prezzo, senza valori. Ecco perché penso a barriere virtuali e virtuose, che non potranno essere contrastate dalla Wto o da Bruxelles».

I NUMERI


Nella classica dell’eolico
È la posizione dell’Italia in Europa per potenza e generazione di energia derivata dal vento. Nella classifica mondiale il nostro paese occupa la sesta posizione.

6
Terawattora
È l’energia eolica prodotta nel 2008. Corrisponde ai consumi domestici di oltre 7 milioni di italiani.

38%
Produzione delle tecnologie per il solare
È la percentuale delle imprese italiane che coprono il mercato dell’hi-tech del settore dell’energia solare. Mentre per quanto riguarda il mercato della distribuzione e installazione, le nostre aziende coprono il 74 per cento.

55mila
Gli occupati nella meccanica
Si tratta delle stime dei lavoratori della filiera della green economy: dalla progettazione degli impianti alla produzione di energie rinnovabili, dai sistemi per il risparmio energetico alla produzione di tecnologie a basso impatto ambientale.

40%
Piccole e medie imprese
È la percentuale delle Pmi che, secondo Unioncamere, vuole puntare sulla green economy per superare la crisi con prodotti o tecnologie in grado di garantire un risparmio energetico e di minimizzare l’impatto ambientale.

335
Le aziende con marchio Fsc
È il numero delle imprese del legno che producono con materiale proveniente da foreste gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. La superficie forestale italiana nel 2008 è salita a 668.764 ettari, 55.908 ettari in più rispetto al 2007.

300
Le aziende di tessuti biologici
Sono le imprese che hanno chiesto di ottenere la certificazione internazionale.

 

Nino Ciravegna

FONTE: www.ilsole24ore.com